Investitura 2022 a Lugano

Messa di Investitura da sabato, 21 maggio 2022

Omelia del Gran Maestro Cardinale Fernando Filoni

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

L’Investitura in Lugano di nuovi Cavalieri e Dame della Luogotenenza Svizzera e di Liechtenstein è espressione di grande vitalità alla quale desidero manifestare vive congratulazioni. Saluto S.E.Mons. Charles Morerod, Gran Priore, i Presuli qui presenti, il Governatore Generale, i Vice- Governatori, la Luogotenente Ecc.ma Donata Krethlow-Benziger e le varie autorità dell’Ordine, nonché civili e militari.

Con la mia presenza desidero portarvi il mio incoraggiamento affinché l’impegno per il nostro Ordine trovi in voi una risposta sempre generosa.

Noi tutti sappiamo bene che l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è un’alta Istituzione Pontificia di antica origine; e sappiamo anche bene che la sua vitalità dipende dal nostro sostegno, dalla nostra collaborazione e dal fervore con cui partecipiamo alla sua vita e alle sue finalità.

Ogni Investitura avviene dopo un ampio percorso di formazione dei nuovi Membri; un percorso che termina con la Veglia di Preghiera, durante la quale ogni neo-investendo manifesta la propria adesione, ottiene la benedizione delle vesti e della croce da collo, prende contatto con gli antichi simboli identitari - quali la spada, gli speroni, il vaso degli oli - e si immerge nella preghiera di adorazione a Dio e di richiesta di grazia per il suo nuovo stato identitario. È ciò che abbiamo fatto ieri sera con intensa spirituale emozione.

Il rito odierno riveste il neo-Cavaliere e la neo-Dama di una prominente onorabilità e, come avvenuto attraverso il significativo dialogo iniziale, ognuno ha confermato la scelta di far parte dell’Ordine e di seguirne fedelmente e generosamente gli impegni. L’imposizione della Croce astile sulla spalla, la benedizione che accompagna il gesto creativo e la vestizione del mantello, indicano, al tempo stesso, la solennità e l’importanza di questo momento, che - sono certo - viene vissuto da tutti i presenti con profonda emozione e con gioiosa memoria.

Cari Cavalieri e Dame, non dimenticate mai questo momento! Anche nei giorni difficili della vita, ricordatevi della predilezione odierna - sì, perché questo Atto di Investitura significa che Dio attraverso la Chiesa vi ha scelti per un compito. Diventare, infatti, Cavalieri o Dame del Santo Sepolcro vuol dire mettere a disposizione la propria vita nel professare la fede in Cristo attraverso la testimonianza quotidiana, la generosità nella carità e l’amore al Vangelo. Significa mettere Cristo al centro della nostra esistenza e di ogni progetto personale, famigliare e sociale. Non avrebbe senso essere Cavaliere o Dama del Santo Sepolcro se poi non si mette al centro il «Signore», per il quale siamo stati rivestiti di un mantello che porta in rosso le sue insegne. Il rosso non è solo simbolo del sangue e del martirio, ma è anche il colore che portavano gli imperatori e che Gesù trasforma da insegna di potere nel segno del servizio.

Noi non siamo Cavalieri e Dame per eredità dinastica, o per volere di un sovrano terreno. La natura della nostra dignità proviene dalla Chiesa, da quel Cristo risorto, il quale incontra e si fa riconoscere dai Discepoli, da Maria di Magdala e altri testimoni, costituendoli depositari della sua risurrezione e li invia come araldi del Vangelo. Noi siamo eredi di quella medesima missione e desideriamo essere fedeli a Cristo, proclamando il mistero della passione e risurrezione. Vorrei che in tutti fosse ben chiara questa nostra origine contro ogni forma di distorsione o di equivocità che a volte circondano le istituzioni cavalleresche.

Non è raro che, a motivo della vanità umana, alcuni cerchino onori da varie entità terrestri, più o meno nobiliari; per noi l’onore viene dal legame con il Santo Sepolcro di Gerusalemme, che costituisce l’evidenza della risurrezione e il luogo più sacro della nostra fede: l’evangelista Giovanni racconta di Pietro e di sé stesso che, corsi a vedere il sepolcro, videro e credettero (cfr. Gv 20,8).

Essere legati per antica consuetudine al mistero della risurrezione del Signore, vuol dire che a noi viene affidato il «sogno di Cristo», il quale pensava a Gerusalemme e alla Terra Santa come luoghi di pace e di fraternità; per questo intendiamo essere costruttori di una civiltà che va oltre le diversità delle genti che ivi vivono e la frequentano. In Terra Santa noi intendiamo sostenere la speranza; partecipare ad una missione gratificante in collaborazione con la «Chiesa Madre» di Gerusalemme, ma anche in sintonia con la Chiesa universale. Questo compito porta in sé la benedizione di Gesù: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5, 9).

La Liturgia della Parola di oggi ci dà una bella chiave di lettura per una più piena comprensione della nostra missione: San Paolo scrivendo ai cristiani di Filippi chiedeva loro di avere in sé gli stessi sentimenti di Gesù, il quale, pur essendo Dio svuotò sé stesso della propria dignità, assunse la condizione di servo, divenne simile agli uomini e si sottopose ad un’ingiusta condanna che lo puniva con la più infamante delle morti, quasi un malfattore, quella di croce. Questo è il «Signore» di cui assumiamo la livrea! Se la Croce, già simbolicamente anticipata del Libro dei Numeri di cui parla la prima Lettura, era concepita al tempo di Gesù come strumento di punizione, per Cristo la questione era differente: in quanto innocente, egli, morendo sulla croce, non espia una colpa propria, ma prende su di sé quella dei suoi fratelli e sorelle. «Dio, infatti -scrive l’evangelista Giovanni nel brano che abbiamo ascoltato- non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3, 17). Questa missione di Gesù, perfettamente da Lui compiuta, egli la affida alla Chiesa, a noi attraverso gli impegni spirituali e caritativi che assumiamo. Dio desidera che noi diveniamo strumenti che testimoniano la salvezza del loro Signore.

Perdonando i suoi uccisori, Gesù rimetteva la sua causa al Padre. Il perdono è il mistero grande! È un mistero che ha radice nel cuore di Dio, mistero dal quale siamo coinvolti. Cristo ha restituito a noi peccatori, violenti, egoisti e vanitosi la dignità dalla vita nuova in Dio.

Vorrei concludere queste parole invitando a suscitare in noi i più vivi sentimenti di gratitudine per la nostra appartenenza all’Ordine Equestre del Santo sepolcro.

Noi sentiamo la responsabilità e vediamo la bellezza di continuare oggi il gesto che fu di Maria di Betania - come ho scritto nel libro sulla spiritualità dell’Ordine - ossia di ungere i «piedi» del Signore, cioè del suo «Corpo» presente in Terra Santa: i suoi fedeli, i pellegrini, i poveri, i rifugiati, e di contribuire alla pace religiosa; ma al tempo stesso, desideriamo aver cura dei «piedi» delle nostre Chiese locali, anche in Svizzera e Liechtenstein, a volte stanchi, impolverati e feriti. Sì, ognuno di noi è chiamato a continuare la stessa opera di Maria di Betania, intendendo occuparsi della persona di Gesù vivente nella Chiesa; una Chiesa che a volte ci appare fragile nella sua umanità per le miserie dei suoi figli, ma proprio per questo amata dal Signore. Noi, pertanto, siamo disposti ad amare questa Chiesa, per la quale Cristo ha dato la sua vita: una Chiesa che è «Madre di tutte le Chiese» in Gerusalemme, ed è «Madre» di tutti noi nelle nostre Chiese locali.

Quattro sono le raccomandazioni che una Dama e un Cavaliere non dovrebbero mai dimenticare:

1. Amare Dio con tutto il cuore, a cui affidiamo la nostra vita;
2. Amare la Chiesa che è nostra Madre, a noi affidata da Cristo;
3. Amare la Terra Santa con generosità, espressione di carità;
4. Amare il nostro Ordine, con stima sincera e fiduciosa, perché l’onore più grande per un Cavaliere o una Dama è quello di appartenervi, essendo esso legato al mistero del Cristo risorto.

Auguri di ogni bene ai neo-Cavalieri, alla neo-Dame e ai neo-promossi.

A tutti la mia benedizione.

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